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Leggendo questi dodici sonetti – tutti composti entro il 1803 – ci si può fare un’idea completa di chi fosse Ugo Foscolo e quali fossero gli ideali che lo spingevano a vivere e a scrivere. Godendo della bellezza immortale di alcuni fra i suoi più indiscussi capolavori ("Alla sera", "A Zacinto", "Solcata ho fronte") vi si possono individuare le più tipiche atmosfere e tematiche: dal materialismo al razionalismo, passando per il pessimismo ateistico e il patriottismo più sentito. La struggente "In morte del fratello Giovanni", oltre a richiamare esplicitamente il modello latino Catullo, è l’ennesimo esempio di quanto la poesia di Foscolo resti sempre accessibile e, soprattutto, godibile, anche a chi la legga a distanza di oltre due secoli.

Niccolò Foscolo (1778-1827) nasce nell’isola ionica di Zante. Trasferitosi da Spalato a Venezia, assisterà personalmente alla caduta della millenaria Serenissima Repubblica. Muovendosi fra i salotti letterari e le biblioteche, Ugo – come sceglie di farsi chiamare – si interessa ben presto alla politica, restando profondamente deluso dal Trattato di Campoformio, con cui Napoleone cede Venezia agli austriaci. Ciononostante, animato da fermi ideali repubblicani, si arruola volontario nelle armate rivoluzionarie, combattendo sul Trebbia e a Genova. Considerato uno dei capostipiti italiani del classicismo e del romanticismo, è autore di opere fondamentali della letteratura nostrana, sia in versi che in prosa: dal romanzo "Le ultime lettere di Jacopo Ortis" alla tragedia "Tieste". Perseguitato dalla polizia asburgica, morirà, esule e povero, a Londra. Le sue ceneri saranno traslate a Firenze, nel 1871, in ossequio al suo celeberrimo carme "Dei Sepolcri".

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