«Le autobiografie della maggior parte delle donne celebri sono una serie di narrazioni sulla loro esistenza esteriore, piene di particolari e di aneddoti futili. Sui grandi momenti di gioia o di angoscia, esse serbano uno strano silenzio. La mia arte invece è precisamente uno sforzo per esprimere, con gesti e movimenti, la verità quale io la sento». Così scrive Isadora Duncan nelle prima pagine di questo libro, pubblicato nel 1927, quasi contemporaneamente alla tragica e spettacolare morte dell’autrice. My Life è l’autoritratto eccessivo – e dunque paradossalmente fedele – di una donna libera e visionaria, che non ha solo cambiato la storia della danza, ma esteso il proprio influsso sul mutamento delle arti nel primo Novecento, seducendo le menti e i cuori di personaggi come Rodin, d’Annunzio, Stanislavskij, Gordon Craig, Eleonora Duse. Bambina che supera gli ostacoli di un’infanzia poverissima e artista che sconvolge i teatri d’Europa, seduttrice naturale e madre non sposata, aristocratica e comunista: per Isadora Duncan lo scardinamento delle convenzioni sociali, insieme a quelle estetiche, è stata una vocazione. La sua avventura, raccontata con esuberanza quasi violenta in queste pagine, è allora tanto la testimonianza di un’epoca cruciale quanto la storia di un’inquieta ricerca dell’assoluto.

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